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ROMA - Sei o quindici
superdipartimenti, guidati da "fiduciari" di nomina governativa, che cercheranno
sul mercato i fondi per la ricerca perché lo Stato ne finanzierà solo le spese
fisse. E' questa la nuova struttura del Consiglio Nazionale delle Ricerche che
sta per saltare fuori dal cassetto del ministro Moratti? Lo affermano con
progressiva insistenza voci ed indiscrezioni che circolano ormai da settimane,
diventate in questi giorni l'oggetto di un'interrogazione dei Ds. I quali
chiedono al ministro se è proprio vero che le preannunciate iniziative del
governo nei confronti del più grande ente pubblico italiano di ricerca si sono
concretizzate in una vera e propria rivoluzione, contenuta in un decreto legge
da approvare già in agosto.
La riforma (che i Ds preferiscono definire
"controriforma", visto che una riorganizzazione del Cnr è stata varata nel '99
ed è ancora in corso) prevede lo scioglimento dei 108 istituti che oggi
costituiscono la rete scientifica dell'ente. Le loro attività sarebbero
accorpate in una manciata di maxi strutture tematiche, competitive e
sostanzialmente indipendenti tra loro, ma associate in una sorta di holding per
la cui presidenza si fanno i nomi di un parlamentare europeo di Forza Italia e
di un intellettuale di area laica. Da queste strutture sarebbero inoltre escluse
alcune delle aree disciplinari oggi di competenza dell'ente: come l'astrofisica,
affidata all'Inaf, l'istituto che riunisce gli osservatori astronomici
nazionali.
Il nuovo sistema della ricerca pubblica avrebbe quindi un
modello imprenditoriale, che risponde alla filosofia, più volte espressa dal
governo, secondo cui competizione e mercato sono gli strumenti di selezione più
efficienti anche per quel che riguarda la ricerca scientifica. Un modello che,
non a caso, sembra sia stato elaborato con la consulenza di una società
specializzata nella riorganizzazione aziendale. Ma che sta sollevando un coro di
critiche nella comunità scientifica, persino tra chi è impegnato nei partiti di
maggioranza.
Ai ricercatori italiani non piace, anzitutto, che si
disponga del loro destino senza consultarli, come sottolinea il comunicato
stampa diffuso tre giorni fa dai direttori di istituto del Cnr, che dichiarano
di voler partecipare attivamente al dibattito sul loro ente, e annunciano
un'iniziativa pubblica in autunno. Più aspro il tono di Rino Falcone, di un
comitato di base dei ricercatori dell'ente, secondo il quale "non era mai
successo che si procedesse così nascostamente a trasformazioni radicali di
istituzioni di ricerca". Una trasformazione, per di più, che "contraddice le
indicazioni provenienti dagli altri paesi", dove la ricerca privata nasce e si
avvantaggia da quella di base,
finanziata pubblicamente.
Ma se non stupisce che il personale del Cnr
insorga in difesa dei propri interessi, dubbi e critiche arrivano anche
dall'esterno. "E' un'iniziativa senza precedenti nel mondo occidentale", dice
Riccardo Cortese, che dirige uno dei rari istituti privati italiani di ricerche
di biologia molecolare. "Le regole del privato sono diverse, questo non è un
campo in cui si può trasformare il pubblico in privato con una bacchetta
magica".
Preoccupatissimi, infine, i giovani dell'Adi, l'associazione dei
dottori di ricerca. "Noi, da un governo lungimirante e attento alla ricerca
avremmo voluto un ente nazionale pubblico unico, coordinato, forte, autorevole e
ben finanziato", spiega Flaminia Saccà, segretaria dell'Adi, "Ma la prima
conseguenza dei tagli è che sono spariti i finanziamenti ai progetti per i
giovani".
(29 luglio 2002)
Parla il presidente del Cnr, Lucio Bianco "Aspetto chiarimenti, ma c'è
già una riforma in atto"
"Lo sponsor non
finanzierà certi progetti ad alto
rischio"
"Il mercato deve essere complementare,
non si può sostitutire il sostegno pubblico alla ricerca di base"
ROMA - "Le indiscrezioni che
trapelano configurano un disegno preoccupante per il futuro l'ente. Però mi
riservo un giudizio meditato di fronte ad un testo scritto". Negli ultimi mesi,
mentre le nubi di tempesta si addensavano sul Cnr, il presidente Lucio Bianco ha
sempre mantenuto un atteggiamento prudente. Che non si incrina neanche di fronte
all'ipotesi, sempre più consistente, che il governo si prepari a smontare
completamente l'ente che dirige dal 1997.
"Il Cnr ha già una riforma in
atto. Sulla scorta di due anni di esperienza, ora sappiamo che ha bisogno di
aggiustamenti. Allora la cosa da fare sarebbe mettersi intorno a un tavolo con a
chi ha portato avanti questa riforma e valutare cosa ha funzionato e cosa no,
naturalmente riservandosi un giudizio di valore come autorità politica. Questa
analisi invece non è mai stata fatta. Inoltre, quando si mette mano a un
giocattolo come quello
della ricerca si dovrebbe sentire l'opinione della
comunità scientifica. E questo non mi pare stia avvenendo".
Dalle
indiscrezioni, tra l'altro molto dettagliate, che idea si è fatto della riforma
in arrivo?
"Che l'ente finirebbe per diventare un ente strumentale, con
un'inevitabile deriva verso un ente di servizio. Il mercato deve essere
complementare all'attività pubblica, non può essere sostitutivo. Anche nel paese
più liberista di tutti, anche negli Stati Uniti, non si sognerebbero mai di dire
che la ricerca di base deve essere finanziata attraverso il mercato. Non c'è
mercato che finanzi la ricerca ad alto rischio".
Si dice che la
riforma del Cnr sia stata affidata ad una società di consulenza
aziendale.
"Se è vero, mi chiedo come questa società possa fare una
riforma senza interagire con l'ente che deve riformare. A me non risulta che sia
mai venuto qualcuno a parlare con noi".
E l'ipotesi di dividere l'ente
in 15 o addirittura 6 dipartimenti? Forse i 108 di adesso sono un po'
troppi.
"Potremmo ridurne ancora il numero, ma credo che sotto 70-80 non
abbia senso. Perché bisogna mantenere la specializzazione e favorire lo scambio
e l'incontro tra competenze diverse. Con 15 grandi istituti nazionali si perde
l'interdisciplinarietà, ciascun settore diventa un ente a sé stante, collegato
agli altri in modo fittizio. All'estero il modello è ben diverso. Come rete
scientifica, al Cnr siamo vicini al Max Planck tedesco, che ha 80 istituti (e
tra l'altro, è finanziato al 95% dallo Stato), ma in Francia il Cnrs ne ha oltre
1400".
La situazione attuale del Cnr?
"E' gravissima. Se non
interviene un rifinanziamento, probabilmente non riusciremo a fare un bilancio
credibile per il 2003. Prevediamo una quantità di spese fisse superiore di
almeno 20 miliardi vecchie lire a quello che ci dà il governo. Con gli
ammortamenti, il deficit è sui 120 miliardi. E poiché senza gli ammortamenti le
attrezzature si degradano, se pure i ricercatori trovassero i soldi per
lavorare, non avrebbero gli strumenti per farlo". (c.d.g.)
(29 luglio
2002)