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Sorprese estive



Title: Messaggio
No copmment,
Stefano Maria Pagnotta
Università di Cassino
 

 
 
 
Ultimo aggiornamento LUNEDI 29 LUGLIO 2002 ore 13.34
 
 
Pronto il disegno della Moratti: pochi dipartimenti e fondi dello Stato solo per le spese di gestione
Un piano per smembrare il Cnr solo soldi privati per la ricerca
Per ogni progetto si dovranno trovare sponsor interessati
La protesta dei ricercatori: "Nessuno ci ha consultato"
di CLAUDIA DI GIORGIO

ROMA - Sei o quindici superdipartimenti, guidati da "fiduciari" di nomina governativa, che cercheranno sul mercato i fondi per la ricerca perché lo Stato ne finanzierà solo le spese fisse. E' questa la nuova struttura del Consiglio Nazionale delle Ricerche che sta per saltare fuori dal cassetto del ministro Moratti? Lo affermano con progressiva insistenza voci ed indiscrezioni che circolano ormai da settimane, diventate in questi giorni l'oggetto di un'interrogazione dei Ds. I quali chiedono al ministro se è proprio vero che le preannunciate iniziative del governo nei confronti del più grande ente pubblico italiano di ricerca si sono concretizzate in una vera e propria rivoluzione, contenuta in un decreto legge da approvare già in agosto.

La riforma (che i Ds preferiscono definire "controriforma", visto che una riorganizzazione del Cnr è stata varata nel '99 ed è ancora in corso) prevede lo scioglimento dei 108 istituti che oggi costituiscono la rete scientifica dell'ente. Le loro attività sarebbero accorpate in una manciata di maxi strutture tematiche, competitive e sostanzialmente indipendenti tra loro, ma associate in una sorta di holding per la cui presidenza si fanno i nomi di un parlamentare europeo di Forza Italia e di un intellettuale di area laica. Da queste strutture sarebbero inoltre escluse alcune delle aree disciplinari oggi di competenza dell'ente: come l'astrofisica, affidata all'Inaf, l'istituto che riunisce gli osservatori astronomici nazionali.

Il nuovo sistema della ricerca pubblica avrebbe quindi un modello imprenditoriale, che risponde alla filosofia, più volte espressa dal governo, secondo cui competizione e mercato sono gli strumenti di selezione più efficienti anche per quel che riguarda la ricerca scientifica. Un modello che, non a caso, sembra sia stato elaborato con la consulenza di una società specializzata nella riorganizzazione aziendale. Ma che sta sollevando un coro di critiche nella comunità scientifica, persino tra chi è impegnato nei partiti di maggioranza.

Ai ricercatori italiani non piace, anzitutto, che si disponga del loro destino senza consultarli, come sottolinea il comunicato stampa diffuso tre giorni fa dai direttori di istituto del Cnr, che dichiarano di voler partecipare attivamente al dibattito sul loro ente, e annunciano un'iniziativa pubblica in autunno. Più aspro il tono di Rino Falcone, di un comitato di base dei ricercatori dell'ente, secondo il quale "non era mai successo che si procedesse così nascostamente a trasformazioni radicali di istituzioni di ricerca". Una trasformazione, per di più, che "contraddice le indicazioni provenienti dagli altri paesi", dove la ricerca privata nasce e si avvantaggia da quella di base, finanziata pubblicamente.

Ma se non stupisce che il personale del Cnr insorga in difesa dei propri interessi, dubbi e critiche arrivano anche dall'esterno. "E' un'iniziativa senza precedenti nel mondo occidentale", dice Riccardo Cortese, che dirige uno dei rari istituti privati italiani di ricerche di biologia molecolare. "Le regole del privato sono diverse, questo non è un campo in cui si può trasformare il pubblico in privato con una bacchetta magica".

Preoccupatissimi, infine, i giovani dell'Adi, l'associazione dei dottori di ricerca. "Noi, da un governo lungimirante e attento alla ricerca avremmo voluto un ente nazionale pubblico unico, coordinato, forte, autorevole e ben finanziato", spiega Flaminia Saccà, segretaria dell'Adi, "Ma la prima conseguenza dei tagli è che sono spariti i finanziamenti ai progetti per i giovani".

(29 luglio 2002)

 

 

Parla il presidente del Cnr, Lucio Bianco "Aspetto chiarimenti, ma c'è già una riforma in atto"
"Lo sponsor non finanzierà certi progetti ad alto rischio"
"Il mercato deve essere complementare, non si può sostitutire il sostegno pubblico alla ricerca di base"

ROMA - "Le indiscrezioni che trapelano configurano un disegno preoccupante per il futuro l'ente. Però mi riservo un giudizio meditato di fronte ad un testo scritto". Negli ultimi mesi, mentre le nubi di tempesta si addensavano sul Cnr, il presidente Lucio Bianco ha sempre mantenuto un atteggiamento prudente. Che non si incrina neanche di fronte all'ipotesi, sempre più consistente, che il governo si prepari a smontare completamente l'ente che dirige dal 1997.

"Il Cnr ha già una riforma in atto. Sulla scorta di due anni di esperienza, ora sappiamo che ha bisogno di aggiustamenti. Allora la cosa da fare sarebbe mettersi intorno a un tavolo con a chi ha portato avanti questa riforma e valutare cosa ha funzionato e cosa no, naturalmente riservandosi un giudizio di valore come autorità politica. Questa analisi invece non è mai stata fatta. Inoltre, quando si mette mano a un giocattolo come quello
della ricerca si dovrebbe sentire l'opinione della comunità scientifica. E questo non mi pare stia avvenendo".

Dalle indiscrezioni, tra l'altro molto dettagliate, che idea si è fatto della riforma in arrivo?
"Che l'ente finirebbe per diventare un ente strumentale, con un'inevitabile deriva verso un ente di servizio. Il mercato deve essere complementare all'attività pubblica, non può essere sostitutivo. Anche nel paese più liberista di tutti, anche negli Stati Uniti, non si sognerebbero mai di dire che la ricerca di base deve essere finanziata attraverso il mercato. Non c'è mercato che finanzi la ricerca ad alto rischio".

Si dice che la riforma del Cnr sia stata affidata ad una società di consulenza aziendale.
"Se è vero, mi chiedo come questa società possa fare una riforma senza interagire con l'ente che deve riformare. A me non risulta che sia mai venuto qualcuno a parlare con noi".

E l'ipotesi di dividere l'ente in 15 o addirittura 6 dipartimenti? Forse i 108 di adesso sono un po' troppi.
"Potremmo ridurne ancora il numero, ma credo che sotto 70-80 non abbia senso. Perché bisogna mantenere la specializzazione e favorire lo scambio e l'incontro tra competenze diverse. Con 15 grandi istituti nazionali si perde l'interdisciplinarietà, ciascun settore diventa un ente a sé stante, collegato agli altri in modo fittizio. All'estero il modello è ben diverso. Come rete scientifica, al Cnr siamo vicini al Max Planck tedesco, che ha 80 istituti (e tra l'altro, è finanziato al 95% dallo Stato), ma in Francia il Cnrs ne ha oltre 1400".

La situazione attuale del Cnr?
"E' gravissima. Se non interviene un rifinanziamento, probabilmente non riusciremo a fare un bilancio credibile per il 2003. Prevediamo una quantità di spese fisse superiore di almeno 20 miliardi vecchie lire a quello che ci dà il governo. Con gli ammortamenti, il deficit è sui 120 miliardi. E poiché senza gli ammortamenti le attrezzature si degradano, se pure i ricercatori trovassero i soldi per lavorare, non avrebbero gli strumenti per farlo". (c.d.g.)

(29 luglio 2002)