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furio camillo furio.camillo a gmail.com
Lun 18 Gen 2010 16:33:21 CET


Cari amici, cari colleghi,

dopo aver riflettuto un po’ durante le vacanze di Natale (in attesa di
diventare nuovamente papà e sciando un po’, quindi in assoluto relax),
vorrei raccontarvi - molto semplicemente e a cuore aperto senza alcuna
dietrologia - la mia opinione circa il dibattito scaturito nell’ambito della
SIS a proposito del questionario di indicazione delle riviste scientifiche
preferite che è stato proposto a tutti noi nei mesi scorsi.

Io, personalmente, non ho risposto perché non mi piace assolutamente l’idea
di dover decidere a priori qualcosa che assomigli, anche solo lontanamente,
alla definizione dei requisiti minimi di ammissibilità ai concorsi. Intendo
dire che non sono d’accordo assolutamente con l’idea di dover dichiarare
anticipatamente un elenco di riviste che hanno dignità scientifica, come se
quindi tutto ciò che viene pubblicato altrove abbia, più o meno
automaticamente, dei difetti di scientificità.

Ma cercherò di spiegarmi meglio e di spiegare meglio la mia visione di umile
lavoratore della Statistica, ossia una visione fortemente applicata e forse
utilitaristica della Statistica. Come molti di voi sanno, da anni mi
preoccupo di applicare la Statistica anche a campi davvero poco usali e
molte volte ho dimostrato a non esperti che la Statistica è qualcosa di
davvero utile, forse necessaria, alla gestione moderna dell’analisi dei
fatti che ci circondano e in particolare di fatti che riguardano
direttamente la produzione e il consumo di beni o servizi, pubblici o
privati.

È chiaro che l’applicazione della Statistica allo specifico problema deve
essere di volta in volta corretta, rigorosa, innovativa, adeguata e solo di
conseguenza può essere definita come scientificamente rilevante.

Quello che a me non piace è quindi l’idea di pre-definizione di un elenco di
riviste dove vengono pubblicati i contributi scientifici, sulla base del
quale poi dovrebbero essere definiti i cosiddetti pre-requisiti minimi di
accesso ai concorsi. Credo ancora, e molto, nel lavoro delle commissioni dei
concorsi che quindi valutano leggendo e discutendo (magari anche in un
contradditorio pubblico con gli estensori stessi, magari diffuso in tempo
reale su Youtube) uno a uno i lavori proposti dai candidati, senza alcun
pregiudizio legato invece a elenchi di riviste predefiniti oppure pregiudizi
dovuti a una ranghizzazione delle riviste sulla base di indici bibliometrici
come l’impact factor. La domanda è allora: se si usa un indice di notorietà
e diffusione come l’impact factor perché non usare anche altri criteri, come
l’applicabilità e l’utilità sociale delle soluzioni scientifiche proposte
per la risoluzione autentica dei problemi?

Faccio un esempio un po’ paradossale e ludico: se un sistema statistico,
scientificamente applicato, contribuisce in maniera determinante alla
vittoria in un campionato del mondo di calcio (evento visto da 2 miliardi e
mezzo di persone nel mondo) da parte della nostra nazionale e questo sistema
viene poi discusso “scientificamente” su riviste internazionali di settore,
chi può dire che tali riviste non siano sedi di lavori da poter proporre a
una commissione di concorso?

E ancora, se si costruiscono elenchi di riviste predefiniti “buoni per i
concorsi”, come potranno trovare posto innovazioni della disciplina ritenute
poco ortodosse da chi gestisce o è amico degli editorial board delle riviste
“importanti”? Mi sembra potenzialmente troppo difficile per un giovane
aspirante ricercatore poter comunicare eventuali aspetti innovativi della
sua ricerca.

Intendo dire che la logica dell’impact factor o quella della pre-definizione
delle riviste “buone” sposta il problema della creazione delle “cupole” (in
termini più moderni, delle lobbies) dalle commissioni ai comitati editoriali
delle riviste, passando magari anche per il potere delle diverse case
editrici, ossia il potere di agenti puramente pro-profit, esterni al mondo
accademico internazionale.

Concludo poi con una riflessione circa l’opportunità di collaborare con dei
governanti che ci chiedono di aiutarli a mettere in atto una riforma da loro
pensata e voluta, ma per la quale non mettono neanche un euro sul tavolo!
Anzi, disdegnando gli accordi europei di Lisbona, invece che portare al 3%
del Pil l’investimento pubblico per la ricerca, lo hanno portato al di sotto
dell’1%, mentre paesi come Svezia e Finlandia sono ormai a oltre il 4% e i
nostri cugini francesi si stanno adeguando agli accordi di Lisbona con una
pianificazione precisa di sviluppo di lungo periodo. Come dire che qualcuno,
per il bene dell’Università (e in modo più ampio, anche della Scuola), sta
cambiando in meglio le regole del gioco, ma non vuole spendere un soldo per
questo cambiamento.

A tale riguardo citerei due fonti molto interessanti dalle quali ho
stralciato due passi che ritengo importanti a proposito del comportamento
del nostro paese rispetto agli accordi di Lisbona.

Il primo dice:

“The Commission has proposed the goal of investing 2% of GDP in higher
education from public and private sources combined. The current level in the
EU is 1.2% of which public investment accounts for about 1.13% of GDP. In
Denmark, total public investments in higher education alone already
surpasses 2% of GDP (from all sources); a large share of this, however (as
in Finland and Sweden) is direct financial aid to students. Direct public
investments on higher education institutions in these countries is hence
considerably lower. On the other hand the share direct public investment is
below 1% in 7 EU countries, including Italy, Spain and Romania.”

Da: COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES - Brussels, 23.11.2009 -
SEC(2009) 1616 final - *COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT - Progress towards
the Lisbon objectives in education and training - *Indicators and benchmarks
2009.



Il secondo stralcio è proprio a proposito del nostro “sistema di governo” (o
di non governo!!) dell’educazione. Il testo sottolinea la sostanziale
reticenza del nostro paese a occuparsi dell’allineamento con gli accordi
siglati in contesto europeo (aggiungo io, forse perché troppo impegnato in
altre faccende come le elezioni regionali, la pseudo-riforma della giustizia
o altre questioni più fondamentali!)



“Over the 2007-2009 period three countries: first Germany and later Andorra
and the Netherlands, ratified the Lisbon Recognition Convention. Five
educational systems are still in “red” as Belgium, Greece, Italy and Spain
have still not ratified the convention.

These countries are at various stages towards ratification – both the
Flemish and the French communities of Belgium as well as Italy have made
several changes in their national legislation but are still encountering
legislative obstacles to ratification; Spain signed the Convention in the
beginning of 2009 but Greece has so far not signed.”

*Bologna Process Stocktaking Report 2009 - *Report from working groups
appointed by the Bologna Follow-up Group to the Ministerial Conference in
Leuven/Louvain-la-Neuve - 28-29 April 2009, by Andrejs Rauhvargers, Cynthia
Deane & Wilfried Pauwels - *Supported by European Commission in the
framework of the Lifelong Learning Programme. *



Per concludere ancora con una metafora sportiva, è come se, per il bene
dello spettacolo calcistico, si decidesse di aumentare l’ampiezza delle
porte e di ingrandire il campo di gioco senza però nessuno stanziamento di
soldi necessari per rifare tutti gli stadi del mondo e allora le regole sono
quelle nuove ma i campi di gioco (l’applicazione) restano quelli vecchi!!

La domanda finale forse è quella che Carlo Verdone, in un suo
indimenticabile film, propone come “ce serve o nun ce serve??” a proposito
del Tevere nel contesto di soluzioni fantascientifiche del problema del
traffico romano. Solo che la domanda “ce serve o nun ce serve?” va forse
fatta ai nostri governanti a proposito del loro pensiero circa la Scuola e
l’Università pubblica, perché se “nun ce serve” allora che lo dicano
chiaramente e la finiscano di fare richieste assurde come quelle dei
requisiti minimi e decidano invece di chiuderla, mandando i nostri giovani
più in gamba a cercare fortuna definitivamente in paesi più civili e
responsabili del nostro: altro che rientro dei cervelli in fuga!

Che ci sia il rispetto degli accordi di Lisbona, si proceda al più presto e
senza alcuna esitazione a eliminare il precariato nel sistema formativo
(Scuola e Università) e poi forse si potrà parlare di riforme serie!

In questo senso una commissione tecnica SIS per “il rispetto degli accordi
presi a Lisbona” mi vedrebbe pienamente coinvolto, sia emotivamente che
praticamente, mediante la profusione di uno sforzo volontario di
collaborazione coi governanti.

Colgo l’occasione per fare tanti auguri a tutti per l’anno appena
cominciato.

Cari saluti a tutti.

Furio Camillo


-- 
Prof. Furio Camillo
Dipartimento di Scienze Statistiche
Università di Bologna - Via Belle Arti 41
40126 - Bologna - Italy
tel. +39 0512098251 -
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