[Forum SIS] commenti ad articolo di A. Ichino sul quoziente familiare (su Il Riformista del 16/11)

av av a vannucci.com
Mar 16 Nov 2010 15:03:39 CET


Sul "Riformista" di oggi appare un articolo del prof. Andrea Ichino sul tema del quoziente familiare, che esprime alcuni punti di vista che ho trovato -in qualche misura- discutibili sul piano dell'analisi economico-demografica.
Sottopongo volentieri alla mailing list SIS le osservazioni che ho già inviato alla testata e all'autore, curioso di conoscere eventuali ulteriori opinioni dei colleghi sulla materia.

Per chi non l'avesse già letto, qui di seguito i link...
.. all'articolo come compare sul sito del "Riformista": 
 http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/297274/
.. allo stesso articolo, in formato PDF, disponibile nella rassegna stampa del MEF:
 http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefeconomica/PDF/2010/2010-11-16/2010111617172413.pdf

E qui appresso, le mie osservazioni:


Sono rimasto piuttosto perplesso di fronte ad alcuni degli argomenti contenuti nell'analisi condotta dal prof. Ichino. Ecco qualche osservazione critica, che naturalmente elevo con spirito tanto polemico quanto costruttivo e curioso. 

1) Trovo scientificamente ingiustificabile usare l'argomento della sovrappopolazione mondiale come base per sostenere che la denatalità Italiana sia da considerarsi un fatto positivo. Certo, è inoppugnabile che la vertiginosa crescita demografica su scala globale sia un fenomeno catastrofico, da qualsiasi ounto di vista lo si consideri: sociale, economico, ecologico, energetico e via cantando. Ma pur in relazione a tale gravissimo scenario, è futile considerare la denatalità italiana in termini di apporto al bilancio demografico globale: il contributo della nostra società è del tutto trascurabile sul piano quantitativo, e virtualmente nulla cambia agli effetti della sovrappopolazione mondiale se la popolazione autoctona del nostro paese si riproduce ad un tasso di fertilità totale (TFT) di 2,2, 1,9 o 1,7. 

Queste lievi differenze nella natalità hanno invece -eccome!- implicazioni enormi di natura dinamica sulla nostra società: la transizione demografica che sta investendo la popolazione italiana ha effetti pesantissimi non tanto per la sua entità in termini assoluti, quanto per la rapidità con cui si manifesta. Le più gravi difficoltà che dobbiamo fronteggiare nel bilancio previdenziale, nel ricambio delle forze di lavoro, nel trasferimento generazionale della ricchezza, nell'impegno generazionale del debito pubblico, nell'integrazione di masse immigranti, sarebbero notevolmente meglio gestibili se la nostra società distribuisse gli effetti della transizione semplicemente su un periodo più lungo (cosa che comporterebbe un impatto differenziale del tutto irrilevante in termini di contributo alla sovrappopolazione del pianeta). 

Come lo stesso prof Ichino marginalmente osserva, il problema della promozione della denatalità su scala globale si focalizza sulla dinamica di società di centinaia di milioni di individui, che presentano tassi di fertilità dell'ordine di 5, 8, 10 (e perfino oltre!). Per l'Italia, invece, mantenere il TFT semplicemente a livelli di qualche decimo di punto più alto può significare la differenza fra il conservare un modello sostenibile di crescita del benessere e il crack. 

(E aggiungo a margine - anche l'osservazione che un sistema previdenziale a base contributiva sarebbe indenne dagli effetti della natalità è insoddisfacente: infatti, piaccia o no, il nostro sistema previdenziale è stato retributivo, e buona parte del suo bilancio ne subirà le conseguenze di trascinamento almeno per altri 30 anni. Quando il bilancio previdenziale retributivo fosse effettivamente concluso, allora sì che gli effetti di un modello demografico transizionale o regresivo sarebbero annullati, ma non fino ad allora) 


2) L'argomento che in Italia alcuni trasferimenti definiti in altra sede operino, di fatto, a favore delle famiglie, non può essere ammesso. E' banale osservare che tutti i trasferimenti vanno a beneficio di qualcuno, e quindi -certo!- di qualche famiglia. Se il prof Ichino vuole conteggiare la CIG come inviestimento indiretto a favore delle famiglie, allora lo sono anche gli incentivi per le auto a risparmio energetico (le comprano le famiglie, no?); e perché non anche i contributi PAC (sostengono il reddito di agricoltori, che anche loro hanno una famiglia, giusto?). Ho sentito anche altri politici ed economisti argomentare che, si, la spesa per la famiglia sarà anche bassa, ma intanto in Italia ci sono la spesa per assistenza e altre, maggiori che in altre nazioni. Con questo criterio, tanto vale considerare per i confronti il cumulo dei trasferimenti pubblici, come se fossero tutti equipollenti! 

Ma sappiamo bene che non è così. Sostenere i redditi degli agricoltori è diverso che finaziare le scuole, o defiscalizzare i contribui delle badanti. L'impatto di questi strumenti di sostegno produce effetti diversi proprio in ragione di come vengono definiti, e a quali fenomenologie e fattispecie specifiche sono ancorati. Ove si voglia stabilire un sostegno alla natalità, si deve definire un trasferimento legato alla natalità, o a qualche altro indicatore che sia direttamente e univocamente collegato alla natalità, è banale. Non sussistendo una corrispondenza diretta e biunivoca fra l'instabilità lavorativa e il carico familiare per i figli, affermare che la CIG o le altre forme di sovraremunerazione del lavoro siano una forma di contributo da considerare sostitutiva o compensativa del deficit di contributo alle famiglie numerose è semplicemente sbagliato. 


3) Da tutta l'analisi del prof Ichino non emerge alcuna considerazione di un fatto tanto ovvio quanto risolutivo: i bambini sono cittadini anch'essi, e pertanto i conti sul reddito disponibile e su quello imponibile devono tenere conto anche della loro esistenz (e dei loro diritti di cittadinanza!). 

Il nocciolo di una politica fiscale che consideri un qualche quoziente familiare è tutto qui. Una qualsiasi politica fiscale collegata alla presenza di figli nel nucleo familiare, che sia più o meno incentivante, si riferisce necessariamente i redditi percepiti dai genitori, ma solo in quanto è da questi che origina il reddito disponibile anche per i minori. I beneficiari di queste politiche sono i membri della famiglia nella loro totalità. Da come il prof Ichino ha rappresentato il problema, invece, sembrerebbe che il padre di uno, due, tre figli goda di un'agevolazione rispetto a chi non ne ha; come se la posizione reddituale e fiscale dei minori fosse irrilevante! 

Mettiamola da un altro punto di vista: perché i bambini, cittadini che sono inevitabilmente membri di una famiglia più numerosa di quella di un single o di una coppia senza figli, dovrebbero essere discriminati fiscalmente, applicandosi al reddito di cui godono (che è per quota condivisa quello dei loro genitori) delle aliquote più penalizzanti rispetto a quelle che si applicano a loro concittadini? Minori o adulti che siano? Il reddito disponibile di una coppia senza figli, determinato per somma di due redditi ognuno entro i 40k€, viene o no tassato con aliquote molto più basse di quello di un padre di tre figli che, con moglie impegnata nella cura della famiglia e non percettrice di reddito proprio, guadagni 80k€? Ed è il secondo di questi due redditi da considerarsi come reddito disponibile di cinque cittadini, si o no? 

In assenza di un metodo di calcolo delle aliquote basato su un quoziente familiare, i cittadini che sono membri di nuclei familiari più numerosi, tanto più i redditi sono concentrati su uno o due dei membri del nucleo, a parità di reddito disponibile pro-capite pagano semplicemente più tasse degli altri. E questo si riflette gravemente nella feroce discriminazione economica dei cittadini che sono bambini, in generale, e di quelli con più fratelli in particolare, a parità di reddito. Stabilire un modello di imposizione sul reddito in cui l'aliquota sia stabilita in rapporto al reddito disponibile effettivo pro-capite dei soggetti a cui si rende disponibile (magari anche se con coefficenti non rigidamente proporzionali, come quelli della scala di equivalenza del reddito di Engel, universalmente applicata nel calcolo delle soglie di povertà) rispecchierebbe un elementare principio di giustizia ed equità fiscale, e a rigore non sarebbe neanche da considerare un sostegno. 


Andrea Vannucci




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