[Forum SIS] Qualche riflessione sulla scuola

e.gori a dss.uniud.it e.gori a dss.uniud.it
Mer 12 Ago 2009 16:10:55 CEST


Sarei felice di ricevere reazioni da parte diq uantio siano interessati al
tema
Saluti
Enrico Gori

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MA ALLORA CHI HA RAGIONE?

Stupiscono i risultati di recenti ricerche dell'INVALSI che riguardano la
primaria di secondo grado, la vecchia "scuola media inferiore". Da un anno
ad un altro le "graduatorie" tra NORD E SUD risultano stravolte per
effetto di un semplice "make up" statistico. .....
Ci sarà anche qui lo zampino della lega ? Ah ah....

No. C'è solo un'attenta analisi alla luce del modello di Rasch, a
"riabilitare" l'onore dei giovani padani rispetto ai loro coetanei
meridionali.

Qui però si deve cominciare a capire quale sia veramente la
situazione. Non è possibile più sopportare una girandola di informazioni
ed interpretazioni
contraddittorie. Che vengono dal nostro Istituto Nazionale di Valutazione.
Ma anche dalle ricerche internazionali.

La scuola è un settore troppo importante e strategico,
perchè si possa accettare una mancanza di chiarezza sulla sua reale
situazione, e assenza di idee precise su come migliorarla.
Se veramente necessita di essere migliorata.

L'istruzione è un sistema che prefigura una crescita continua delle
competenze dell'alunno,
dai primi rudimenti a cose via via più complesse (standard).
I test nazionali ed internazionali, ovviamente, colgono i contenuti e
capacità "standard" che i giovani dovrebbero  conoscere e possedere a
determinate età.
Di questo ormai si può essere certi.
La serietà e competenza dei componenti delle commissioni che stendono i
test  non è in discussione. Se quindi si parte dall'idea che i test siano
validi, il problema vero è come vengono interpretati i dati statistici
disponibili, una volta che i dati di base siano stati ripuliti da ovvi
errori nella loro raccolta e produzione, che possono verificarsi sia al SUD
come al NORD.

Le evidenze delle ricerche, per come vengono riportate spesso dalla stampa,
sono grosso modo le seguenti.
L'OCSE (ricerca PISA)  dice che a 15 anni i giovani italiani
sanno meno matematica dei loro colleghi dei paesi più avanzati od
emergenti, come l'india e la Cina.
L'IEA (con la ricerca TIMSS) mette in risalto che nella fascia
d'età 7-10 anni, i nostri giovani si collocano sopra la media mondiale.
Questo, se da un lato consacra la presunta solidità della nostra scuola
elementare,
dall'altro getta sulla media inferiore il probabile onere di questa crisi di
crescita, che porta gli adolescenti italiani a livelli non soddisfacenti
rispetto agli altri
paesi, proprio nel corso dei primi anni della scuola media superiore.
Poco prima di affacciarsi all'università e al mondo del lavoro,
dove si affinano e si specializzano le conoscenze e le competenze.

L'INVALSI, poi, concentrando l'attenzione sulle differenze regionali, un
anno ci dice che al SUD i ragazzi intorno ai 12 anni, sono più bravi dei
loro coetanei del NORD. L'anno dopo, per effetto di una rivisitazione (più
seria???) dei dati, l'esatto opposto.
Così le scuole medie inferiori si agitano e si preoccupano a turno:
un anno al NORD, e l'altro al SUD.
In fondo è giusto così come sarà forse chiaro da quanto segue.
Ma nessuno deve stare allegro purtroppo.
Guardare troppo la pagliuzza degli altri rischia di non farci notare la
trave che pesa  sullo sviluppo del nostro paese, nel suo complesso.


Dopo anni di informazioni, a volte contrastanti e contradditorie, dobbiamo
cominciare a cercare di interpretare e leggere queste informazioni attraverso
un modello opportuno, di tipo teorico-economico. Questo perchè
le competenze degli studenti a  15 anni (come in ogni altra età)
costituiscono una variabile economica  detta Capitale Umano, che si
inserisce in un contesto di interazioni importanti tra risorse -produzione
e, quindi, tasso di sviluppo: la misura di crescita della ricchezza di un
paese.

In fondo, ci si è accorti che i dati non "tornavano",
non solo per la dissonanza con
indagini analoghe svolte con maggiore rigore (PISA)
ma anche per la contraddizione insita tra livelli di competenze
e livelli di sviluppo, notoriamente positiva, mentre i dati
evidenziavano l'opposto.


Che i ragazzi del SUD abbiano mediamente
livelli di competenze più bassi di quelli del NORD,
forse non c'era
bisogno di fare una ricerca per scoprirlo.
Nonostante gli splendori della Magna Grecia,  il SUD si è presentato
all'appuntamento con l'Unità d'Italia, già in condizioni di svantaggio.
Non esisteva al SUD quella classe padronale  illuminata che
permetteva al figlio intelligente del povero mezzadro toscano, di
frequentare buone scuole.  O la ottima rete di formazione gestita da
organizzazioni ecclesiatiche e non profit nel Nord.
E poichè le competenze si acquisiscono in un
processo di crescita lungo, non c'è da stupirsi, che a parità di impegno
degli insegnanti, i livelli medi di competenze nel SUD possano, in certe
zone, risultare meno elevati che al NORD, anche per ovvie questioni di
svantaggio economico-sociale e culturale di partenza di molte famiglie del
SUD.

La ben nota e mai risolta "Questione meridionale", poi, e la correlazione
positiva tra tassi di sviluppo e livelli di conoscenze-competenze dei
giovani di un paese, ci fa facilmente accettare l'idea che la minor
crescita del SUD sia in parte dovuta proprio anche a carenze nel Capitale
Umano dei giovani meridionali, nella loro fase adolescienziale, che poi si
ripercuote sulle loro capacità di impiego e di prosecuzione
all'università.
Molti studi hanno ormai evidenziato, senza ombra di dubbio, questi nessi.
E le ripercussioni sullo sviluppo economico.

Capire le ragioni di tutto ciò, e trovare soluzioni è il vero problema:
i basi livelli raggiunti sono dovuti alle condizioni familiari di
provenienza,
o agli insegnanti,
o la colpa è del "sistema scuola", cosi come si configura a livello
nazionale, con i suoi
programmi, modelli di insegnamento, impegno richiesto agli studenti  ecc.?
Oppure la colpa è di modelli di riferimento culturali e sociali sbagliati
(veline e grande fratello)?
Ovviamente si tratta di un mix di ragioni.
Individuare il ruolo e il peso di ogni fattore  su questo stato di cose,
non è agevole.

Per quanto riguarda le soluzioni: modelli come quelli della scuola di
Barbiana evidenziano che ci sono strade che possono fare recuperare
velocemente, anche ai piu svantaggiati, il terreno perso nell'acquisizione
di quelle competenze e conoscenze che sono alla base del Capitale Umano,
per una migliore e piu' utile collocazione  personale nella società.

Ma la soluzione non può stare nella ghettizzazione regionale, come
proposto da alcuni.
Anche perché è probabilmente il sistema scolastico italiano nel suo complesso
 che fa acqua e non risulta competitivo.
Come lsuccede anche  per altri settori quali la Giustizia e la Sanità.

Infatti. Se il SUD piange ... il NORD non ride. Ed il paese nel suo
complesso evidenzia ormai problemi per quanto riguarda il sistema
scolastico.

Anche prima della crisi,infatti,
i tassi di sviluppo economico nelle piu dinamiche regioni d'Italia,
erano ben lontani  da quelli di paesi, come l'India e  la Cina.
Che guarda caso primeggiano nelle graduatorie internazionali sui livelli
di conoscenze-competenze.

Se esiste una correlazione positiva tra tasso di sviluppo e livelli
misurati nei test,
visti i delundenti risultati di crescita economica di molte regioni del
Nord-Est,
c'è da chiedersi se i giovani friulani
(è lì che PISA colloca i miglioristudenti in Italia),
debbano camminare tranquillamente sugli allori,
perchè piu bravini dei loro colleghi di Palermo e di Napoli,
o invece, debbano essere molto preoccupati,
della distanza che li separa dai colleghi indiani di Bombay.
Molto più vispi di loro, non solo in matematica, ma anche nella vita, come
dimostra una recente serie televisiva "Amori conturbanti", girata in uno
dei piu dinamici contesti internazionali, anche da un punto di vista
socio-culturale, oltre che economico.

Quello che si comincia a capire è che,
anche se l'Italia ha zone  che stano meglio e altre che stanno peggio, per
livello degli apprendimenti,
è l'intera scuola italiana che necessita di una attenta analisi,
per capire a quale ètà i nostri giovani comincino a perdere colpi nella
crescita delle conoscenze e competenze, rispetto agli altri paesi, e le
ragioni, di un tale fenomeno.
Le graduatorie regionali, purtroppo, rischiano di catalizzare solo
attenzione giornalistica
spicciola, che si presta il più delle volte a facili
strumentalizzazioni politiche.

Tutto ciò getta pesanti interrogativi sulle politiche scolastiche ed
universitarie, passate  presenti e future.
Molti colleghi universitari lamentano ed esperimentano un calo sistematico
dei livelli di conoscenze-competenze delle matricole.
Per anni si è pensato che i bassi livelli di successo degli studenti
universitari fossero una "colpa" dell'università.
L'introduzione di finanziamenti legati al numero di esami svolti e
studenti laureati, è testimonianza di una tale idea.
Alimentata da analisi semplici e semplicistiche sui tassi di laurea, che
la stampa ha contribuito non poco ad associare all'idea di una
inefficienza dell'Università.

Se oggi dovessimo accorgerci che la bassa produttività dell'università era
in realtà dovuta
ad un profondo declino di competenze e conoscenze all'uscita dalla scuola
dell'obbligo (medie superiori comprese),
avremmo perso molto tempo, in tante discussioni sull'efficacia
dell'università,
senza capire quale fosse il nocciolo della questione e la ragione della
riduzione del numero dei laureati e dell'aumento del tasso di dropout.

E' pertanto l'ora di aprire un serio dibattito, ma per favore ..... che
sia scientificamente fondato, e con qualche certezza sui dati e sulle
teorie economiche attraverso cui si interpretano.

Per inciso a questo riguardo si fa notare che
l'idea che la "colpa" sia da ricercarsi nella scuola media inferiore,
visto che le indagini TIMSS evidenziano un livello delle scuole elementari
sopra la media mondiale,
e quelle OCSE un livello dei primi anni delle medie superiori sotto al
livello medio mondiale,
è stata alimentata da una non corretta analisi dei dati.
I migliori commentatori, non si sono mai accorti che l'insieme dei paesi
alla base delle due indagini
erano diversi, molto piu poveri quelli per l'indagine TIMSS, molto piu
ricchi quelli dell'indagine PISA.
Una semplice pulizia dei dati, che limiti il confronto ai soli paesi
contemporaneamente presenti nelle due indagini, mostrerebbe che l'Italia
si colloca sotto i livelli medi mondiali (riferiti ai paesi presi a
confronto), anche nell'indagine TIMSS.

Insomma, se il SUD piange e il NORD non ride,
la (vecchia cara) scuola elementare ha poco da gioire rispetto alla
(vecchia cara) media inferiore.
Alimentare divisioni in questo momento sarebbe stupido, mentre occorre
concentrare le forze sui metodi e sulle ricerche che cominciano  a dare
risultati validi e ragionevoli. E la discussione deve concentrarsi sui
modi da usare per uscire da questo declinio di competenze ormai
preoccupante.



Enrico Gori
Dipartimento di Scienze Statistiche
Università di Udine



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